martedì 28 ottobre 2008

Un Weekend in Trentino

ho fatto in discesa questa curva al massimo 5 minuti fa e adesso mi ritrovo ad entrare nello spiazzo del colle di sant' Eusebio dove rivedo gli occhi sorridenti di Luca, ebbene si il sorriso di Luca è accattivante anche per questo, sorride con tutto il viso:

è un sorriso aperto schietto sincero..

C'è anche la Fra, la vedo per la seconda volta, il primo impatto con lei è stato positivo, una ragazza con un bel carattere forte, e spero di approfondire la conoscenza in questi 2 giorni.


dopo aver scambiato 4 chiacchiere ci avviamo verso Ceniga, la strada è ancora lunga, ma sarà mooolto piacevole. Percorriamo le "Coste" in discesa, il maledetto polso sinistro comincia già a farmi male e purtroppo renderà la mia guida molto "menomata" per i 2 giorni.

Pazienza, la discesa verso Nozza scorre via per lasciare spazio alla veloce strada che porta al lago d'Idro, poi comincia per me il vero divertimento ovvero la val di Ledro da Storo a Riva del Garda.


il sole comincia a calare rendendo i contorni indefiniti e spegnendo lentamente i colori autunnali.

il lago di Ledro sembra una scura voragine che inghiotte la luce, come un grosso buco nero.

comincia a far freddo e non siamo troppo lontani dalla meta.

Il lungo tunnel finale ci butta nella discesona per Riva e poi da li pr Arco e poi Ceniga.


Siamo arrivati, finalmente posso far riposare un po il mio polso e possiamo scambiare 2 chiacchiere dopo aver parcheggiato le moto.


Che dire Luca è fortunato, vive in un posto bellissimo appena al di sotto della montagna, il giorno dopo con la splendida giornata di sole avrò di apprezzarlo ancora di più.
Adesso è il momento di salutare la Fra che ci raggiungerà più tardi, noi tra una birra una doccia e 4 chiacchiere passiamo il tempo prima di ritrovarci per andare a cena.

l'umidità cala sulla valle del Sarca, mi fa strano ammettere di aver scoperto grazie a dove abita un mio amico che il Sarca è anche un fiume. Fin'ora per me era una via di Milano.

ci ritroviamo a mangiare carne sanguinolenta e a bere un ottimo Teroldego come accompagnamento, raccontandoci innumerevoli cazzate. Poi i messaggi senza senso con il Gordolo, che era già notevolmente dai fumi dell'alcool.
finita la cena raggiungiamo Gordolo, il muwa ed altri alla Malga Campo per aumentare il tenore alcolico della serata.
Malga campo, mi ha fatto una certa tristezza vederla trattata con poco rispetto dal gruppo.
é una malga di proprietà comunale ( del comune di Drena ) affittabile da chiunque per passarci un fine settimana diverso dal solito.
pur avendo visto il posto solo di notte, come è buio quando non c'è la luce dell'uomo a rischiarare la vista.
La Fra mi dice: " Dav, ma a Milano le avete tutte queste stelle? "
al ché punto il naso verso il cielo.... lo spettacolo che mi toglie il fiato è un fondo scuro nel quale un fascio di tanti piccoli diamanti luminosi sembra galleggiare. Senza fine, immenso, indescrivibile.
Anche la via lattea è visibile, la cintura di Orione il grande carro e le tante costellazioni del nostro emisfero.
Uno spettacolo simile lo vidi solo la notte di San Lorenzo sul lago Balaton, quando puntando anche allora il naso all'insù vidi le mie prime stelle comete.
Miracolo della natura e della fisica.

lo stato dei nostri amici tende al devastante andante e quando la situazione comincia ad essere senza ritorno decidiamo per riportare i nostri stanchi corpi nei rispettivi letti per un sonno ristoratore.

La strada per casa ha dei vuoti dovuti al mio personale crollo sul divanetto dell'auto della Fra.
i ricordi sono parziali dovuti al sonno incipiente.

la mattina successiva ci svegliamo in ritardo, chissà perché me lo aspettavo.
ci prepariamo e siamo in sella per portarci all'appuntamento con Daniele e poi con gli altri 2 partecipanti al nostro giretto domenicale.

si comincia a far quattro curve, alla sosta benzina decido che la Jona2 per me rimarrà una voglia repressa, il cambio rovesciato non mi consentirà di reprimere una certo timore nel provarlo.

Deciso questo e fatta benzina la Cembra ci aspetta. Sono molto curioso di provare questo percorso, che però temo troppo veloce per i miei personali gusti motociclistici.
i Monti si fanno più aspri mentre superiamo una vallata per arrivare a Faver, il paesaggio è molto vario, superata la zona limitrofa a Civezzano le curve sono più piacevoli i colori autunnali mostrano le loro mille sfaccettature del giallo e del rosso, le rocce frastagliate dei monti fanno da cornice a tutto questo addormentarsi delle piante. Gli abeti invece sfoggiano la loro chioma sempreverde in aperto contrasto con i loro cugini cedui. la temperatura è frizzante le gomme calde al punto giusto, anche se le zone in ombra non vanno mai sottovalutate, possono nascondere insidie scivolose.
da Sevignano a Faver il profilo altimetrico prima precipita verso valle per poi risalire da Parlo fino a Faver in un gustosa serie di tornanti e curve abbarbicate alla roccia.
A Faver il panorama verso la valle sembra come quello di una terrazza panoramica di un lussuoso albergo.

Qui Comincia la SS612, ho studiato, Luca mi ha dato un paio di dritte sul come affrontarla e su dove sono i punti critici grazie alla consultazione di un suo video.

Ovviamente loro scompaiono all'orizzonte mentre io tento di non andare oltre velocità da me difficilmente comprensibili.

il paesaggio è favoloso, ed i boschi non hanno invaso ancora la carreggiata con le loro insidiossime foglie.
Al termine, presso Stramentizze ci si ferma al bar per un panino rifocillante.
ci si saluta e si riprende il motogiro. Credo che mi piaccia più a tornare, ma per esserne sicuro dovrei tornarci per mettermi alla prova.

Il nostro percorso ci porta verso Mezzolombardo, dove prendiamo la strada che porta verso Fai della Paganella. all'inizio mi gaso non poco finalmente qualcosa di più guidato dove fare un po’ di curve lente. Da Fai della Paganella ad Andalo e poi a Molveno le curve sono medio veloci, belle, asfalto niente male, in alcuni punti appena rifatto.
Seguiamo la Fra che disegna traiettorie precise e rotonde, caspita se mi piace come guidi!
è un piacere tenerti la scia in un ritmo costante e veloce al punto giusto.


le successive strade che portano a Riva del Garda hanno pezzi veloci e lenti per poi essere velocissimi fino al gran finale del lago di Tenno e dei sui innumerevoli tornanti in discesa
A Riva i saluti a Luca, alla Francesca e a Daniele, compagni di viaggio e d'avventura in questo primo assaggio di Trentino motociclistico.
Sono in moto da appena pochi Km e già sto pensando alle emozioni passate assieme, alle risate, ai racconti di vita( non solo motociclistica ) mentre percorro le buie gallerie della gardesana occidentale, il buoi enfatizza la sensazione di velocità o la velocità è reale e percepita?
comincio ad avere freddo ma non ci penso rimanderò alla sosta carburante la vestizione protettiva che mi accompagnerà fino a casa per un'autostrada noiosa ed umida..

Un Weekend in Trentino

giovedì 23 ottobre 2008

L'osservante

Una giornata d'autunno grigia , foschia ..
il sole non ce la fa a filtrare la spessa coltre di nubi e umidità..
il solito viaggio con i mezzi pubblici verso l'ufficio.
l'immancabile libro nello zaino, il lettore Mp3 che spara nelle mie orecchie un play list fatta a casaccio, si alternano pezzi rock con pezzi alternative, pop ed elettronici.
Tamburello il ritmo sulla mia coscia mentre cammino, mi sveglia ed oggi ne ho bisogno più di altri giorni.

Solitamente mi si prospettano delle scale,tutto sommato poche per scendere sottoterra per salire sul metrò.
qui in genere mi creo il mio mondo sospeso, provvisorio, della durata di appena 5 fermate.
per poi uscire di nuovo all'aperto di una corsia preferenziale dove un filobus mi porta alla fermata davanti al mio attuale ufficio.

Solitamente:
una cosa che in fondo fai di solito prospetta abitudine a farla. quindi dopo un po la noia subentra e cerchi di rendere questo tragitto diverso, più breve, più piacevole.

oggi la lettura stentava e dopo un paio di pagine, prima che la metropolitana arrivasse alla seconda fermata, ho lasciato il flusso delle note che provenivano dal mio Go gear prendere il sopravvento. Distrattamente infilo il mio libro nello zaino e poi sempre distrattamente mi guardo intorno.

Fa caldo in questa Milano autunnale, un caldo umido e all'interno di questa scatola di metallo vetro e plastica il disagio è palese sui visi delle persone.
osservo le loro facce con discrezione, la signora dell'est accanto a me ha un'espressione vitrea, come il colore dei suoi occhi eppure mi sembra di leggere un filo di preoccupazione in lei.

i ragazzini li vicino parlottano a voce alta, li sento nonostante la musica veicolata dagli auricolari alle mie orecchie. loro sono l'immagine triste della generazione adolescenziale odierna.
Sono tante fotocopie di una stessa ipotetica persona, superficiale marchiata con un timbro di garanzia firmata in tutto. anche il loro lettore mp3 colorato ne è uno status symbol evidente.

in realtà sono le mie sensazioni ad essere forse confuse!?!? quello che vedi su una metropolitana o su un filobus alla mattina presto, facce addormentate, facce felici, facce rassegnate, sono veramente quello che ti sembrano alla prima impressione?

oppure viviamo in una società piatta che uniforma gusti e sensazioni?
mi ritrovo, complice la mia colonna sonora nel tentativo di capire cosa passi per la testa in quel preciso istante alle persone che mi sono vicino...quando osservo le persone con gli auricolari su, per me scatta il tototraccia! cerco di indovinare cosa stanno ascoltando, ma poi vengo assalito da altre sensazioni:
gli odori, il profumo di una ragazza sa di un'uscita dalla doccia mattutina avvenuta da poco,
il puzzo di zingaro che non riesci a quantificare da quanto tempo non si lavi per "accorare"* a quel modo.
il dolce odore di croissant della filippina li in fondo, lo avrà appena comprato, per emanare un simile profumo dev'essere ancora caldo...

é un concentrato di etnie che mi si para innanzi tutte le mattine lavorative, si dice che questo assembramento multietnico sia una ricchezza per la nostra società.

non ne sono molto convinto, le loro facce non sono felici, hanno un non so che di rassegnato, di nostalgia verso un paese molto lontano. eppure sono qui a fare dei lavori che la nostra ricca società disprezza e sottopaga.
la signora "bene" seduta vicino l'obliteratrice invece sembra assente, ed i suo più grosso problema lo immagino come una decisione su come pagare il parrucchiere, con la carta gold o in contanti.

Ecco che Hysteria dei Muse martella i miei nervi uditivi con il suo ritmo sincopato, per un momento mi concentro su me stesso sulla sensazione che questa traccia nel mio lettore mi trasmette.
Chiudo gli occhi per riaprirli un istante dopo ed è come se tutto intorno a me si muovesse a tempo di musica, come se tutto avesse un contorno flebile e sfumato. Potere della musica, alla mia fermata scende poca gente, tutti ingessati nei loro completi. Tutto questo ha reso il mio viaggio mattutino meno noioso, è quasi volato via... Quel misto di sensazioni e vita altrui che crea una commistione assieme a quello che provo io con il naturale confronto che ne consegue....


L'OSSERVANTE


* Accorare = in dialetto romanesco ha il significato di puzzare, avere un cattivo odore pungente.

martedì 14 ottobre 2008

Pioggia Estiva

Sono seduto sulla terrazza della casa dei miei nonni.
Il panorama è splendido, la collina sovrasta il lago il sole è ancora alto nel pieno di un pomeriggio estivo.
Osservo mio Nonno che falcia il prato oltre la strada, si gira verso di me e mi dice: “di a tua nonna di ritirare i panni, tra non molto pioverà”. Non faccio domande, mio nonno non amava essere contraddetto e corro ad avvertire nonna. Le do una mano a ritirare i cuscini messi sulla sdraio in legno che ogni volta che Nonna si accorgeva che la guardavo mi diceva : ”questa sdraio ha più di cent’anni”… chissà magari li aveva davvero.
Spostiamo cose dall’aperto al riparo del muro della casa e del tetto spiovente, al chiuso della sala da pranzo gli oggetti più delicati, la luce nel frattempo non è più diffusa, ha un colore livido, non credo ai miei occhi. I due amareni in giardino con le loro grandi cupole verdeggianti mi consentono solo a sprazzi di vedere oltre.
Corro verso il cancello del giardino per avere la vista sul lago come prima.. Il Lago è imbronciato, ciuffi bianchi lo ricoprono ed è passato da un bel verde ad un grigio piombo, il cielo fino a poco prima azzurro con nuvole sparse adesso sembra diviso in due, la parte scura e roboante di lampi e tuoni a prendere il sopravvento.
Le prime gocce d’acqua cominciano timidamente a bagnare tutto intorno..
L’odore dell’asfalto bagnato, delle piante aromatiche colpite dalla pioggia, della mia pelle fino a poco prima sudata.
Mi fermo d osservare i tre pioppi sul ciglio della strada, sembrano scossi come se fossero giovani fronde. Il vento li piega, li torce, li mette alla prova.
La pioggia è sempre più intensa, mi piace questa sensazione di fresco umido sulla pelle dei miei 10/12 anni. Guardo verso l’alto e spalanco la bocca alla ricerca di un sapore primordiale. Penso, così doveva essere l’acqua che i nostri antenati bevevano. Voglio conoscere il suo sapore, ed è un sapore buono.
La vista invece viene colta di sorpresa dalla visione di “lucido” che tutto ricopre, sembra che tutt’attorno sia stato passato uno spesso strato di lucido trasparente e che la luce cupa dei nuvoloni carichi d’acqua renda i contorni delle cose meno nitidi, tutto si confonde, tutto ha quel non so che di grigio che uniforma tutto.
Eppure è comunque una dimostrazione di forza colossale da parte di madre natura..
In una qualsiasi giornata di

Pioggia Estiva

Luce

È tremolante, rende i contorni morbidi, ispira calore.
È accogliente, rende l’oscurità meno fitta e crea giochi di luce intensi.
Alla fine ti ipnotizza con quel suo ritmico danzare, staresti li per ore a fissarla complice di quella sensazione di benessere che ti regala.
È buffo rendersi conto che si parla di una semplice

Candela

Vento

È uno degli elementi naturali con il quale ci confrontiamo spesso.
Rende un campo di grano maturo un ondeggiante fluttuare color oro, oppure piega spinge e tira le fronde degli alberi durante una tempestosa giornata invernale.
Quello che preferisco però è quello che muove appena i rami degli alberi che li fa ondeggiare appena appena. Il rumore delle foglie di primavera è morbido, le foglie sono ancora tenere e quindi il fruscio è delicato, in estate è vigoroso le foglie sono all’apice della crescita, in autunno è un suono secco e tintinnante, in inverno il vento è il solo compagno dei rami, le foglie sono ormai un ricordo ed il suono è un fischio leggero prodotto dall’urto tra i rami ed il vento stesso.
Le foglie creano un effetto velo alla luce del sole, un velo semovente che scopre e copre ritmicamente rami, corteccia ed altre foglie.
L’effetto tenda però da il meglio di se quando alle sue spalle vi è un panorama speciale uno scorcio di Capri, una vallata sul Lucomagno, o semplicemente un giardino al di la di una finestra.
Ecco il vento è questo e molto di più.

Vento

Jessica

Il telefono squilla, numero nascosto, mah! Rispondo, chissà chi è…
Mi risponde una voce che mi dice qualche parola in francese, una voce familiare, mi sembra quella di …
Non ne sono sicuro e nella mia incertezza ripeto: “Pronto!?”…
Dall’altro capo dell’invisibile filo la voce mi fa :”Ciao David, sono Jessica come staii??”
Era un pomeriggio anonimo, ed invece è staro rallegrato dalla telefonata di una persona che non sentivo e vedevo da anni se non attraverso il telematico aiuto della posta elettronica.
Jessica, la mia collega parigina, la ragazza con quell’accento inconfondibile con la quale ho condiviso un sacco di pause pranzo. Collega perché anche se non lavoriamo più assieme, io a Milano lei a Parigi, per me lo è rimasta come lo era tanto tempo fa.
Ci capivamo al volo, anche se avevamo spesso idee divergenti, poi quando riuscivo a farla ridere ridevo con lei mi piace troppo la tua risata, mi mette di buon umore.
Mi racconta di lei, della sua vita dei suoi 3 nipotini, le dico che anche io diventerò zio molto presto. Lei incredula, le ho raccontato talmente tante volte di mia sorella che eravamo in due a non credere a questa cosa. Siamo entrambi molto felici.
Poi scherziamo sul fatto che andremo falliti a furia di fare regali ai nostri nipoti.
Alla fine 46 minuti di chiacchierata, del più, del meno, di ricordi comuni.
Un pomeriggio reso migliore da un’amica lontana

Jessica

sabato 11 ottobre 2008

UNICUM

La bottiglia è confortante, tonda, morbida con un collo sottile che culmina in un tappo cilindrico perfetto.
La forma sferica è interrotta solo per lo svaso necessario a farla stare in piedi. Unica nella sua forma, unica nel suo color verde translucido.
Il nome storico della famiglia ungherese che lo inventò più di 200 anni fa, 218 per l’esattezza. La famiglia Zwack, la croce latina dorata su campo rosso, anch’esso tondo han fatto si che si reputasse un elisir di provenienza elvetica. Invece a ben guardare un richiamo alla sua origine c’è, sulla capsula del collo della bottiglia una sottilissima ed ondeggiante bandiera Magiara ci ricorda con il rosso, il bianco ed il verde il luogo natale di quello che per me è l’amaro più buono che esista.
La scritta a rilievo sul retro della bottiglia sottolinea il fatto che sia un prodotto unico, UNICUM il suo nome.
Nel nome la peculiarità di questo Amaro con l’a maiuscola, non quelle semitrasparenti brodaglie dolciastre che molti bevono. Un amaro deve essere amaro, ma deve saper stupire.
È complesso, il suo sapore è frutto della sapiente miscela di 40 tra erbe aromatiche e spezie che rendono il suo bouquet unico, dapprima un carattere deciso, poi un il coinvolgimento dei sensi con note che ricordano gli agrumi e la cannella, speziato e fruttato quindi per poi arrivare ad un climax amaro, persistente e piacevolissimo. In questo mondo dove la globalizzazione impera ovunque fa notizia forse che l’Unicum venga prodotto da 218 anni quasi sempre a Budapest e quasi sempre nella distilleria di famiglia tra alterne fortune dovute alla fuga della famiglia Zwack dall’Ungheria durante la repressione del ’56 per rientrare in grande stile nel 1972 nella terra natia dove ha il suo vero posto..
Adesso il perché ho scelto di definirmi Doctor Unicum è forse chiaro….

Il Sacro Elisir dal Nero Colore


La Paola di Torba di Gornate Olona

Si entra senza nessun filtro, l’ingresso la prima volta che l’ho varcato mi ha lasciato perplesso.
Non ho mai avuto troppa simpatia per i bar demodè con il bancone e l’arredamento che fa tanto anni ‘60/’70. Però quel bel tavolaccio lungo li sulla destra mi faceva l’occhiolino, con le sedie a fargli da damigelle d’onore.
La macchina per il caffè che sembra troppo vecchia per definirla attuale ma troppo nuova per renderla piacevolmente un pezzo d’epoca funzionante. Gli scaffali dei liquori li dietro con l’immancabile parete specchiata alle spalle e poi il tocco di moderno che però fa scadere il livello di tutto, un’invasione di patatine, merendine, dolcetti, pacchetti e pacchettini di caramelle, chewing gum e affini.
Potrebbe essere un bar di periferia come ce ne sono tanti, invece mai dare per scontato qualcosa o fermarsi alle prime apparenze, in questo caso avremmo commesso un errore madornale.
Avremmo, parlo al plurale perché sono assieme ad uno degli amici che considero un vero gourmet, che mangia anche con gli occhi come direbbe mio papà. Ma non è di lui che voglio parlare ma del luogo e della persona che lo gestisce.
Il luogo è la “Trattoria di Torba” nome tanto intrigante quanto semplice nelle sue tre parole. Torba è un luogo, per la precisione Torba di Gornate Olona, che sembra distante dai ritmi frenetici che le scorrono intorno e la trattoria non fa eccezione a questo incedere lento.
Dicevo, il non fermarsi alle prime apparenze, nel mio caso un passaggio laterale accanto al bancone, dove forse prima una porta aveva il suo luogo di “residenza”, è qui che un mondo intimo e accogliente si dischiude ai miei occhi ed ogni volta che vi torno è sempre come arrivare a casa di amici, accomodarsi in sala da pranzo e parlare del più e del meno.
Poi arriva lei la Paola, una signora d’altri tempi, con le sue ciabatte di pelle chiara, la sua gonna appena sotto le ginocchia, lineare nella semplicità del taglio. Il golfino scuro a maniche lunghe i capelli raccolti a chignon dietro la nuca, uno chignon approssimativo, non c’è nulla di artefatto o ricercato nel suo essere eppure è elegante nella sua semplicità e nella sua naturalezza. Poi il tono della voce, pacato, lento incredibilmente lento, soffice come un abbraccio materno.
Ecco la Paola riesce a metterti a tuo agio da subito e pazienza se poi il pur esemplare servizio sarà di una lentezza epocale. Ma non importa, realmente non importa in quest’oasi della tranquillità ove riscoprire i giusti tempi per cenare, ecco direi che la convivialità è di casa.
Sa il menù alla perfezione, elenca le pietanze con dovizia e solennità e passa mollemente da un tavolo all’altro per portare un piatto o per domandare ad un avventore qualsiasi come gradisca la serata.
Il posto, 2 stanze piuttosto grandi, sembrano il salone di una casa anni 50, quadri alle pareti un pianoforte li di lato con i pizzi sotto ad un candelabro, delle vecchie decorazioni natalizie che rendono scintillante un angolo, un pupazzo di cartapesta, le tovaglie di cotone damascato, tutto questo contribuisce al risultato della serata di cui la Paola è l’assoluta padrona e discreta regista.
Il modo in cui ad un tavolo dove ci sono due amici riesce a convincerti ad accendere una candela, magica nel suo “ .. è che lo propongo spesso, la luce della candela è morbida crea un’atmosfera accogliente e calda..”. Noi due a queste parole capitoliamo alle nostre recalcitranti e stereotipate idee.
La Daniela in cucina crea pietanze magiche, particolari e uniche.. ci vuole del tempo per mangiare qui.
Ci vuole una certa cerimoniosa etichetta, per non essere un elemento estraneo all’atmosfera che si crea. Alla fine però, risulta tutto naturale e fin troppo semplice adattarsi a tutto ciò.
Mi sento in fondo un privilegiato ad avere la possibilità di provare ancora delle sensazioni simili e di poterle condividere con un amico vero, che mi ha portato con se in questa oasi di lentezza.
Mi rattrista vedere invece come certi ospiti della Trattoria siano il classico stereotipo del lumbard arricchito.
Loro non vedono nulla, non notano nulla. Per loro è solo molto chic essere li.
Noi invece assaporiamo tutto, profumi odori e sensazioni e compiaciuti spezziamo la rosetta calda che la paola ci ha portato, a loro ha portato del pane freddo…
La Paola di Torba di Gornate Olona.
Grazie Stè

giovedì 9 ottobre 2008

Un Amaro arrivederci

il sapore è aspro, il gusto amaro... le delusioni della vita che si concretizzano, vedere una bella cosa che va a rotoli, non ti capaciti, non capisci...eppure succede che le cose che ti danno un certo gusto nel farle piano piano scivolano via come una foglia in un rivolo d'acqua piovana.la vedi arrivare sempre più vicino alla grata delle fognature e ti dici:ma si.. tanto la posso ancora salvare..mera e pia illusione, il rivolo malefico ci mette un attimo a cambiare velocità e quella che era una bella cosa la vedi svanire nel tempo di un battito di ciglia..una volta passata la grata la foglia non c'è più è svanita per sempre.. così quello che facciamo, la passione finisce, l'amore finisce, di tutte le cose della vita che conosciamo una sola cosa è certa:finiranno tutte prima o poi, si finisce un percorso di studi, si finisce un libro, si finisce un viaggio...ogni volta lo stesso sapore metallico in gola...la vita finisce, è l'unica certezza che abbiamo della nostra esistenza.dobbiamo viverla giorno per giorno, programmare il giusto ma non rimandare le decisioni.. potremmo non avere il tempo per fare le cose che abbiamo rimandato, facciamole.Ho rischiato tempo fa di non avere più la possibilità di rivedere facce amiche, un automobilista distratto o stanco ha invaso del tutto la mia carreggiata e mi stava investendo in pieno..in quei momenti ho rivisto tante cose della mia vita, gli affetti, gli amici, le cose belle e brutte..ma la cosa che mi rimane più impressa è quel sapore metallico amarognolo che ti rimane in gola... non so he combinazioni chimiche si creino nel nostro corpo in questi momenti, ma mi sembrava come se mi avessero infilato in gola una palata di cristalli di ferrite.. sgradevole, pungente, amaro ed acido al tempo stesso.. adesso mi trovo in una situazione simile... il sapore è meno intenso, so che l'avventura potrò comunque continuare ma per il momento so che la decisione milgiore e interrompere questo flusso di sensazioni che non mi dona più nulla di positivo...UN AMARO ARRIVEDERCI

Szantod

I preparativi sono sempre monotoni e ripetitivi qualsiasi attività ti appresti a fare, sembra insolito ma tutto sommato ci troviamo a essere schiavi di una lista di cose da fare prima di accingerci a farla.
Szantod Puszta sono appena 20 km di strada statale, un panorama ricco di dolci colline con boschetti isolati che interrompono la finta monotonia dei campi di girasole ormai pronti per la mietitura, com’è lontano nel tempo quel mare giallo di fiori, ognuno grosso come un piatto.. appena 2 mesi..
La strada ormai non è più la provinciale di Balatonvilagos, bensì la statale che porta a Siofok, il capoluogo di regione che dovremo oltrepassare per raggiungere Szantod.
Il turismo di massa ancora dorme placido quando noi ci muoviamo ed il traffico è praticamente inesistente.
Dall’alto della collina la statale sembra gettarsi nella pianura per poi accerchiare la città di Siofok aggirandola in un semicerchio che sembra non finire mai.. il tratto di strada che rimane per arrivare a Szantod invece sembra finire nel lago Balaton nei pressi di Zamardi a causa dell’attracco del traghetto per Tihany.
A quel punto mia sorella ed io siamo già in fibrillazione per quello che ci aspetta, un trekking di 4 ore a cavallo.
Unica incognita che cavalli avremo?? Il Borgo di Szantod Puszta è un monumento nazionale con gli edifici bassi ed allungati con i tetti in paglia e gli spessi muri imbiancati a calce. I paddock per i cavalli sono ampi ed i cavalli possono rincorrersi in giochi di agilità.
Ci avviciniamo alle scuderie e l’amazzone che guiderà il nostro gruppo in linguaggio a dir poco “condito” distribuisce le cavalcature, a mia sorella tocca uno splendido palomino, a me un piccolo cavallino nevrile.
Satan, un nome un programma. È uno shagya-arabo, un incrocio tra una razza autoctona ungherese ed un cavallo arabo, bel miscuglio di razze..
L’amazzone si raccomanda con me di stare in fondo al gruppo, non capisco ma mi adeguo..
La natura stupisce sempre come le persone, passiamo dalla campagna coltivata al bosco, al guado di un ruscello alla scalata di una collina per finire in una galoppata a perdifiato in un campo appena mietuto.
Impressiona come persone fino ad un momento prima chiassose possano improvvisamente stupirsi ed ammutolirsi al passaggio improvviso di un cinghiale prima e di un capriolo dopo..
Il passaggio dal campo al bosco da quasi alla testa , tutta quell’ombra e quel fresco sembrano una manna nel caldo di una mattina di metà luglio. La sosta a mangiare le more ed i lamponi direttamente dai rovi, un sapore così non l’ho provato mai più nella vita, lo conservo come uno dei miei ricordi più preziosi..
La discesa verso il guado con alcuni cavalli a cui l’acqua pare proprio non piacere. Satan invece non teme nulla ed anzi quel tronco che ostruisce la via viene saltato in scioltezza, incredibile come un cavallino di appena 1.50 mt al garrese possa esprimere certe doti fisiche. Imparerò qualche anno più avanti affinando le mie doti di cavaliere di cosa siano capaci questi animali formidabili.
Ma il bello deve venire, incominciamo a galoppare e dal ventre del bosco, dalla penombra luccicante che ci arriva attraverso le fronde degli alberi, li in fondo davanti a noi come un cerchio di luce violenta la fine di un tunnel naturale . Il bosco terminerà, mi chiedo che paesaggio ci lascerà intravedere.

Satan sembra inserire il turbo non riesco a trattenerlo, ed inesorabilmente mi trovo a superare la fila di cavalli davanti a me, si calma solo quando in pieno campo mietuto si ritrova a condurre il gruppo, non c’è dubbio a ripensare adesso al suo comportamento doveva essere per forza un cavallo alpha dominante..
Il rientro ha un non so che del sollievo, un tour di 4 ore in tutte le condizioni a cavallo è stancante per un ragazzino di 14 anni o forse meno. Specialmente se la cavalcatura ha fretta di rientrare in scuderia. Il tempo di dissellarla e comincia ad innervosirsi, non ne vuole sapere di farsi sciacquare i garretti mi tira uno strattone ed un calcio sulla rotula e poi fugge via nelle scuderie per mangiare.
Poi si dice che i cavalli non siano creature intelligenti e straordinarie…
Ormai siamo quasi all’anticamera del pomeriggio, le 12.30 passate, i nonni ci aspettano per pranzo alle 13.
Ci avviamo alla macchina euforici per la prima esperienza di questo tipo e rientriamo a casa per un pranzo in famiglia sotto l’ombra rinfrescante degli alberi di amareno del giardino.
Una mattina a Szantod Puszta.

Sagra d'autunno


L’auto procede lentamente in discesa tra le dolci curve dell’Appennino piacentino, è una tipica giornata autunnale uggiosa e poco amichevole.
Il sole tenta di farsi spazio tra la foschia e la velature del cielo, illumina di una luce bianca diffusa e lui lo si intravede come si può intravedere una lampadina da dietro una tenda in un oscuro pomeriggio d’inverno.
La temperatura è insolitamente mite e questo favorisce quella che fino ad allora avevo visto solo nei film inglesi, la nebbia bassa semovente sui campi coltivati che lascia spuntare dal suo candore solo gli scheletri apparentemente senza vita dei pochi alberi che punteggiano come riferimenti le colline sotto di noi..
Sono le 3 del pomeriggio ed il sole comincia a tramontare tingendo si rosa antico e di indaco la volta celeste.
Abbiamo fame e l’umidità ci fa sentire un certo brivido intenso di freddo nonostante la temperatura mite.
Al semaforo che ci immette nella statale che ci condurrebbe a Piacenza osserviamo il viavai di gente alla locale sagra della caldarroste e della polenta con i ciccioli.
Non abbiamo nemmeno bisogno di prendere una decisione, il profumo intenso delle caldarroste prende la decisione al posto nostro.
Bambini in festa che corrono tra i rustici tavolacci in legno, il grosso cilindro metallico pieno di castagne che viene fatto ruotare sulla brace, il paiolo di rame con la polenta nella quale braccia corpulente versano ciccioli appena fritti nel calderone li da presso.
Facciamo il bis, le cose semplici alla fine danno sempre soddisfazione e ci facciamo portare delle altre castagne da sgranocchiare poi sulla via del ritorno..
Le sagre di paese, quelle autunnali hanno un sapore diverso da quelle primaverili, sembrano voler allegramente salutare la bella stagione all’aperto consci che poi ci saranno altri cicli stagionali da seguire, altri cibi da festeggiare, altri ritmi altri sapori altre sensazioni.. quelle braccia avranno altro da preparare.
Una sagra d’autunno…

Praga


Forse devo mettere in valigia anche una felpa leggera, non so a cosa andrò incontro, se avrò freddo se avrò caldo, la vecchia Europa continentale a volte sorprende...
osservo il prato sotto casa attraverso gli infiniti quadrettini della zanzariera, un filtro che mi separa dalla rassicurante sensazione di protezione di casa.
Mi sento inquieto, forse è solo la strana sensazione che fuori si stia per scatenare l'inferno sotto forma di gocce grosse come ciliege mature..
l'inquietudine muta in rabbia, mi occorrevano solo 10 minuti per arrivare alla metropolitana asciutto.
Appena metto fuori il naso dalla porta di casa il ritmico gocciolare della pioggia ferisce i miei timpani, monta la mia rabbia, la certezza che arriverò senza un centimetro quadrato di pelle asciutto in aeroporto si realizza..
Sembra un vero e proprio incubo:
pioggia, vento, lampi e tuoni si frappongono tra me e la meta che devo raggiungere... sono così arrabbiato che vorrei ritornare a casa e non prendere più quel dannato aereo..
Odio questa città, odio la sua approssimazione, i suoi ritmi, il suo essere impersonale, il suo favorire l'isolamento e la solitudine nonostante le possibilità di aggregazione pressoché infinite...
perché una persona che vive da sola e non vuole farsi rapinare dalle tariffe di un taxi notturno per raggiungere un aeroporto all'alba deve prendere nell'ordine un autobus, una metropolitana ed un pullman gran turismo per arrivare in aeroporto la sera prima della partenza!?!?!
perché essere costretti a dormire su una scomoda panca in un aeroporto che ha nella sua grandezza, direttamente proporzionale alla sua inutilità, il suo simbolo!?!?!?
l'odore dei vestiti bagnati, dolciastro, si insinua tra le narici, un misto di odori tutto sommato piacevoli dovuto al fatto che erano tutti stati indossati appena prima del diluvio... l'odore acre della gomma e del tessuto sintetico delle scarpe sembra invece essere il preludio all'assunzione di un blando veleno anestetizzante...
alla fine trovo un posto dove rannicchiarmi in attesa delle 6 del mattino per poter effettuare il check in per la città verso la quale ho un'aspettativa curiosa e intensa, mi ricorda le gite che facevo alle scuole elementari, il sapore della scoperta, quel non dare nulla per scontato, quella mancanza di esperienza che ti mette in difficoltà nei primi istanti di “conoscenza”...
Anche stavolta viaggio da solo, non mi aspetto nulla in più che rimanere da solo, non ho voglia di conoscere gente, non ho la necessità di condividere con nessuno questo momento, deve essere mio soltanto, da assaporare lentamente nei 5 giorni che starò lontano da casa...
L'imbarco è veloce, il volo noioso, lo snack pessimo, il caffè tutto sommato sorseggiabile..
Atterro a Praga, meta del mio viaggio..

l'impatto è strano, l'aria ha un odore indecifrabile ma la sensazione che mi lascia addosso è decisamente spiacevole. È la prima volta che mi capita una cosa del genere nella vecchia Europa.
Il recupero del bagaglio avviene rapido e posso così recarmi all'uscita dell'aeroporto di Ruzine.
Chiedo informazioni per raggiungere la mia pensione e la donna al box dei mezzi pubblici mi spiega con una freddezza e distacco glaciali cosa dovrò fare, mi chiedo se sa di essere viva.
L'impatto si fa sempre più negativo, pago e non ricevo in cambio il mio biglietto, la segnaletica per reperire un autobus è scarna e poco comunicativa, a differenza delle indicazioni per tram e metropolitana, eccellenti.
Passo per la periferia di Praha come la chiamano i cechi e dirigendomi nel distretto numero 6, quello immediatamente a ridosso del centro storico. La strada gira attorno al limite dell'aeroporto per poi attraversare l'autostrada ed entrare in città destinazione Dejvicka capolinea della metropolitana A.
trovare la fermata del 216…. la sensazione sgradevole comincia a diventare sempre più forte, sono deluso, comincio a pensare negativamente su qualsiasi cosa..
arrivo in albergo alle 12 passate invece che alle 10, la mia camera è ancora occupata dal precedente cliente, sono arrabbiato a tal punto che rifiuto anche una discussione con l'albergatore che si scusa in tutti modi e mi offre nell'attesa una caffè e dell’acqua. Se penso che è anche il mio compleanno mi viene voglia di avere un ictus fulminante, giorno infausto, ogni anno me ne capita una diversa.. la prossima volta sto chiuso in casa con le tapparelle sigillate..
la camera è gradevole spaziosa e pulita con un rassicurante panorama all'esterno della mia finestra.
Svuoto la valigia, ancora bagnata dalla sera precedente, scopro un’amara sorpresa:
tutti i vestiti in essa contenuti sembrano passati sotto un nebulizzatore. Completamente fradici tanto che sono costretto a stendere qualsiasi cosa.
Mi faccio una doccia bollente e mi infilo a letto, mi addormento e mi sveglio solo al mattino successivo.
Ho ancora 4 giorni pieni per visitare la città e decido che in questa domenica lascerò la mia guida in camera, voglio scoprire la città senza una meta prefissata, il gusto fresco della scoperta, il fremere di tutti i sensi necessariamente allertati al minimo cambiamento..
Decido di muovermi a piedi con il mio inseparabile zaino, dentro solo l'acqua ed un ombrello..
Sono convinto del fatto che questa città ha tanto da offrirmi e per questo resetto tutte le sensazioni, ripartiamo da principio.
Ok, la lingua è decisamente ostica e spesso non si trovano indicazioni nel più rassicurante inglese.
La sua tonalità è secca, asciutta a tratti sgradevole, manca della musicalità delle lingue latine e dell'estrema regolarità e durezza delle celtiche.
I cechi mi hanno dato l'impressione di essere poco accoglienti, freddi e distaccati con punte di antipatia vera e propria.
Il modo più efficace per sintetizzare il loro atteggiamento è :
“ti sto facendo un favore a fare quel che mi chiedi”...
Mi rendo conto di essere disorientato, spiazzato: la cosa mi infastidisce, non sono abituato
seguo le indicazioni per il Prazky hrad, il castello, tutte le indicazioni turistiche saltano all’occhio per il loro colore: cornice marrone e scritta nera su fondo bianco, a voler trovar loro un difetto sono fin troppo discrete in dimensioni.
Mi chiedo se una strada in discesa possa portare al castello, invece dopo una curva a sinistra la strada mi presenta un intrigante bivio:
strada acciottolata a destra stretta e senza marciapiede che lascia intravedere un porticato in cima alla salita e strada in falsopiano che sembra sbucare in un’ampia piazza.
Ovvio che intraprendo la via più erta che porta verso l’alto, non mi sono mai piaciute le scorciatoie.
l'impronta medioevale di Praha comincia a schiudersi sotto il mio sguardo attento..
la piazza nella quale giungo è ampia a differenza della prima impressione ha una pianta irregolare ed allungata con doppia fila di portici ai lati, anch’essa si biforca in due direttrici minori, scoprirò più tardi che portano una alla piazza del castello ed una direttamente in Mala Strana.
Seguendo casualmente il mio istinto mi raggiungo uno splendido belvedere da dove finalmente scorgo la Vltava, la Moldava, il fiume che Bedrich Smetana traspone in note nel suo Ma Vlast (ovvero La mia Patria), poema musicale che tanto amo. Le mura sono possenti, la digitale nelle mie mani sembra animarsi da sola per lo scatto di numerose foto panoramiche i riflessi di luce sono li in basso che disegnano un sinuoso incedere dei flutti del fiume.
Continuo il mio vagabondaggio dirigendomi verso Mala Strana il piccolo quartiere, qui la globalizzazione imperante lascia il suo malinconico ed impersonale picchetto... Mc Donald's e Starbucks sono li ad occupare suolo straniero, però è confortante la presenza del chioschetto con il dolce tipico cotto su una griglia rotante, sembra un grosso cannolo vuoto ed emana un profumo dolce penetrante di vaniglia e nocciola, ad osservarlo meglio sembra una brutta copia della Kurtos Kalacs ungherese.
l'urbanistica della Mittleuropa sembra combaciare alla perfezione con il mio modo di intendere una bella città. Gli ampi portici nelle vie principali vengono invasi come i grandi fiumi dai propri affluenti in veste di piccole viuzze contorte, i tetti spioventi, gli abbaini in mattone intonacato a calce ed i cortili interni, quando i portoni in legno non li separano dal brulicare di vita esterno schiudono piccoli oasi taciturne ignote al caos cittadino.
Sono in Mala Strana e riconosco una delle 2 torri neogotiche che sono come soldati a protezione del Karluv Most, strano mi aspettavo un ponte imponente ed invece fatico a dare una spiegazione alla sensazione che dovrebbe essere più grande e lungo,alla fine è molto meno invadente di quanto alcune immagini possano comunicarci.
Lo attraverso osservando le statue dei santi e dei re che sembrano imperturbabili nella loro staticità, ma nel 2002 nemmeno loro hanno potuno nulla contro le forze della natura.
Stare mesto la città vecchia, è un dedalo di viuzze piene di negozietti di souvenir e di locali con tanto di personale che cerca di ghermirti. Evitando il flusso dei turisti ci si trova in strade e vicoli laterali, da li si può notare l'anima più vera della città, i negozi veri della gente vera, qui i souvenir non arrivano, anche se distano pochi metri.
Come spesso gli architetti del passato usavano fare, un intrico di viuzze porta ad un'ampia piazza e praga non sfugge a questa regola Staromeske namesti la piazza del municipio è un sottile fil rouge storico-architettonico, vi sono palazzi barocchi, art nouveau, gotici e neogotici.
Per fortuna l'imperante modernismo non ha intaccato il fascino e lo spendore di questi palazzi ricchi di storia..
Josefov il quartiere ebraico, è solo una parentesi nella mia visita cittadina, troppo caro e fuori da qualsiasi convenzione turistica, certe volte i luoghi comuni sono duri a morire.
Nove mesto la città nuova è come in molte città europee un misto di antico e moderno, zona della città nel quale vi è il museo dell'altro grandissimo compositore ceco Antonin Dvorak, sito in un edificio che è una delle maggiori espressioni del barocco Praghese.
Vaclavske namesti e Karlovo namesti ampie piazze con parecchio verde intorno specialmente la seconda..
Il fascino della città è intenso durante tutte le ore, da illuminata alla sera o sotto il cielo cocente di agosto oppure sotto un'intensa pioggia estiva..
Il Mattino alle 7 è forse un'ora privilegiata per osservare una città, è abbastanza viva da schiudersi lentamente al visitatore curioso, ma abbastanza sonnacchiosa dal punto di vista turistico.
Il profumo delle panetterie è intenso, il magico abbraccio tra cereali e muffe che consente la lievitazione ti permea e ti si appiccica addosso e rendendo le ore successive migliori con il ricordo del sapore semplice e genuino del pane appena sfornato.
L'odore insolente di aglio e cipolla però ti schiaffeggia ricordandoti che le cucine dei numerosi e graziosi ristoranti sono già al lavoro..
la cucina praghese è molto semplice, prevede ottime zuppe e tanta carne con crauti e patate.
Una scoperta gustosa è stata la bramboracky, una sorta di frittella fatta con patate grattuggiate e aromatizzata con l'immancabile aglio e la maggiorana.
La pasticceria/panetteria è tipicamente austroungarica, con porzioni enormi e soffici forme.
Il caffè è tipicamente continentale, lungo e delicato servito in grosse tazze panciute, l’espresso è diffuso ma poco consigliabile.
I mezzi pubblici sono eccellenti, se consideriamo solo i tram e le metropolitane, puliti veloci e pratici, ti portano pressoché ovunque. Decido di comprare dei biglietti giornalieri da associare alla Prague card, una sorta di maxisconto su numerosi musei ed attrattive, ove presentando la card entri gratis.
L’indomani mattina la giornata si presenta ottima bel tempo cielo terso con qualche ciuffo bianco qui e li, conosco qualcuno a cui piacerebbe un sacco questo cielo..
Colazione tipicamente continentale, nulla di eccelso visto le 2 ** della pensione, ma tutto fresco e pulito. Stavolta la Guida di Praga mi accompagna nel mio girovagare, anche se ad onor del vero l’ho usata pochissimo.
Esco dalla pensione ed assaporo nuovamente l’aria. Oggi mi sembra decisamente più confortevole, ha un piacevole profumo di erba fresca appena tagliata, scoprirò qualche metro più in la che alle 8 di mattina i giardinieri comunali sono già al lavoro. Ecco i giardini di Praga sono delle oasi in cui rifugiarsi dal caos della città, come ogni capitale che si rispetti soffre di un cancro comune, il traffico generato dall’imperante uso delle auto private, nonostante i mezzi pubblici, come ho già accennato, siano eccellenti, frequenti e puliti.
Oggi decido di visitare la collina dell’osservatorio astronomico, arrivare su è stato un compito un po faticoso, vista la fila all’entrata della funicolare decido di risalire la collina a piedi, a metà strada sfrutto la fermata di mezzo del trenino verde della funicolare ed ero già in un bagno di sudore…
Il panorama da lassù è impressionante, vedi tutta la città ed oltre, le numerose aree verdi, la sinuosa linea verde disegnata dalla Moldava che sembra voler separare ed unire al città al tempo stesso.
Il tempo però decide di mutare per offrirmi anche la sensazione di una capitale mittleuropea sotto la pioggia battente. Onestamente dopo la mia partenza da Milano ne farei a meno, ma il fascino malinconico di questa capitale offre il meglio di se con i toni smorzati dalla carenza di luce, sarei curioso di vederla in una sera nebbiosa d’inverno.
Il profumo dei prati e delle conifere del parco della collina misto a quello dell’asfalto reso caldo da qualche ora di sole è intricato, complicato da spiegare, tra note di fresco delle conifere a quelle leggere e acidule dell’erba appena tagliata a quello acre e sintetico dell’asfalto granuloso dei sentieri.. potrebbe essere una nota stonata ed invece il tutto fluisce attraverso il mio naso dandomi solo buone sensazioni. Sono sorpreso dal contrasto che provo pensando al primo sgradevolissimo impatto con la città e quello che sto provando ora.
La visita all’osservatorio astronomico è divertente tra i vari diorama che spiegano i fenomeni fisici della rifrazione e della profondità dei raggi cosmici e l’osservazione diretta nel telescopio motorizzato. Peccato che il cielo che nel frattempo è diventato di un azzurro intenso sia disseminato di tante nuvole bianche (mi ricorda il cielo dipinto di un qualsiasi quadro di Turner) e quindi non si veda praticamente nulla. Questa visita però mi fa ricredere parzialmente sulla freddezza dei cechi, una ragazzina liceale era li a spiegare ai visitatori il funzionamento dl telescopio ed è stata deliziosa, gentilissima, preparata. Spero proprio non si rovini crescendo.
Le numerose visite ai musei inclusi nella Prague Card sono piacevoli e arricchiscono il mio bagaglio culturale
I preferiti sono i 2 musei dedicati ai maggiori compositori cechi Smetana e Dvorak ed il museo della musica e degli strumenti musicali, dove trovo strumenti conservati con cura, tra i quali anche un pianoforte utilizzato da Smetana stesso.
Il museo nazionale è sito in un edificio imponente dal quale si gode una vista speciale su piazza Venceslao, molto grandioso, ma tutto sommato essendo principalmente un museo etnologico, paleontologico e mineralogico, nulla in più di un qualsivoglia museo del genere di una qualsiasi capitale europea.
Il museo della città di Praga invece nasconde delle chicche insospettabili, tra cui una temporanea sulla storia dei caffè ( intesi come locali ) praghesi e tutta la storia della città come permanente. Decisamente interessante, ma la cosa più bella è un plastico interamente in legno della città completato da un genio del modellismo del 1800 circa.Tale Langweil, ci ha lavorato dal 1826 al 1837 stupefacente.
Alla fine quello che mi rimane impresso di questa città è la sua ricchezza di stili architettonici, il suo stimolare al romanticismo da qualsiasi punto la si osservi, la sua organizzazione a misura di turista e le ottime birre.
Decisamente da provare in coppia, secondo me rende mooolto di più

Porcigatone --> Aulla

la discesa è a tratti ripida le curve si susseguono veloci visibilità perfetta con la vallata alla mia sinistra la giornata è ancora fresca nonostante sia il 24 aprile.. arrivo ad un tornante che mi fa invertire la direzione di marcia per farmi scendere in un falso rettilineo goduriosissimo che mi immette nella valle che prima era alla mia sinistra, il paesaggio è variato gradualmente, qui l'intervento dell'uomo è sensibile, l'odore del letame che concima i campi, la puzza del diesel dei trattori che lavorano i campi, la piantine di grano che crescono al fluttuare del vento.. questo fino a Porcigatone, peccato che una delle curve più belle della SP21 sia in mezzo al paese ingresso stretto a destra, per poi allargarsi in un curvone medio veloce che si spegne in un tornantone a sinistra poi una sorta di allungo per finire in un altro tornante...da qui in avanti il bosco si riappropria dei dintorni e l'aria all'ombra ha un sapore fresco, che rilassa che fa star bene ..poi lentamente la piana si allarga fino a Borgo val di taro e la SP21 si spegne come il canto della fenice nelle sembianze di un tornantone da terza prima di giungere nel centro cittadino.attraverso il taro, e qui mi ripropongo di fare il brattello, fatto 2 settimane prima con Smallz Mcex la Meriggio e l'estremo..stavolta l'asfalto non è viscido ma perfetto e la SP20 comincia il suo veloce incedere attraverso le colline , colo alcuni tornanti sono un po sporchi di breccia, ma tutto sommato la strada si fa piacevole.. qui la natura prende il sopravvento verso l'abitato di san vincenzo le montagne sono troppo scoscese per coltivarle e quindi il bosco regna sovrano. il sole ed il bosco cominciano una danza speciale che vede il vento come un comprimario di lusso.. creano un effetto marmorizzato che ondeggia sotto il nerofumo delle mie Dunlop, che gomme fantastiche non faccio in tempo a pensarlo che nel tornantino, dove se mi fossi fermato avrei visto 2 strade identiche dipanarsi dal quel punto, gratto la pedana destra, non sarà come la famosa saponetta che provoca autostima ma per me in quel momento vale molto...di li a poco sempre in mezzo al bosco , un tornantone ed un tornantino e spiccioli più avanti si entra in toscana e la SP20 diventa SP39 per un 500 mt le curve sono da raccordare e mediamente veloci poi prima di Bratto altre curve interessantichissà perché in mezzo al bosco il paese sia cresciuto proprio qui!poi curve, curve e ancora curve fino a Grondola da dove si vede la cisa scendere da Parma.anche qui la SP39 sembra darmi il suo odierno addio con un canto del cigno mozzafiato.. 1, 2, 3, 4, 5, 6 tornanti prima di cedere il passo alla SS62 strada di trasferimento alquanto noiosa dritta in mezzo ai paesi e piena di velox fino ad aulla da cui seguo le indicazioni per il cerreto...

Passaggio in Engadina

In estate per evitare il caldo parto sempre molto presto per i miei giri in moto, visto che poi sono 600/700 km fatti in giornata.questo implica un vestizione a strati perchè in ogni caso il fresco può fare brutti scherzi.. beh! io amo la montagna, amo il suo odore, il suo colore, il suo sapore che ti entra dentro tramite i profumi intensi.provate a stare in un'abetaia d'estate, riuscirete a sentire il sapore della resina per quanto è intenso il suo odore...beh! parto alle 6.30 da milano direzione nord verso le amate alpi, la giornata è limpidissima , comincia ad albeggiare i colori acquistano una consistenza sempre più netta, cominciano a distinguersi tra loro... il il blu oltremare del cielo comincia a cangiare dai toni dell'indaco al rosso acceso, fino all'azzurro più limpido..non una nuvola a interrompere questo spettacolo che spesso non notiamo data la vita frenetica che facciamo tutti i giorni.quando raggiungo Maloja il sole ha già tolto le coperte della notte al paesaggio, sono le 8.30, il traffico comincia pian piano a ridestarsi.Il belvedere del maloja è li però con un panorama mozzafiato, in quel momento rende gli uccelli esseri degni di invidia per la loro possibilità a sorvolare tutto questo senza limiti... non ho altro da fare che proseguire il mio viaggio per le alpi svizzere, l'aria su questo altopiano di 1800 mt ha già un non so che di diverso, un non so che ... una sensazione che non puoi condividere, puoi solo tentare di spiegare ma non condividere , è troppo personale ed intensa da trasmettere... per questo mi piace viverla da solo.il mio è forse egoismo però non voglio interruzioni in questi momenti.potrei perdermi a cercare i limiti dei miei sensi acuirsi sempre più nel rumore delle foglie, in quello del vento che accarezza l'erba o che increspa appena la superficie del lago di silvaplana...l'unica presenza ritmica è costante è il battito del mio cuore, pur facendomi provare sensazioni forti non batte all'impazzata come mi sarei aspettato, si limita a seguire il ritmo naturale di tutto ciò che ha attorno..solo il ticchettio dello scarico caldo della zeta sembra essere l'elemento estraneo ... però se non fosse per lei non sarei qui non potrei descrivere la meraviglia che si impossessa di me. scatto delle foto che pur essendo belle non hanno la fisicità che mi è rimasta dentro, sono istantanee grazie alle quali posso riportare alla mente tutto... il viaggio prosegue verso lo julierpass, il paesaggio cambia assieme all'altitudine, altri odori, altri sapori, altre sensazioni associate ad una strada ricca di curve che a differenza del solito non vuoi percorrere come al solito, vuoi rallentare , vuoi fermarti a guardare quello sperone roccioso, quel gruppo di piante che sfida le leggi della fisica.poi arrivi di nuovo in valle e un'opera umana estranea a tutto ciò crea uno spettacolo mozzafiato. un lago di un colore che non sai definire, sembra turchese però è anche blu con sprazzi di verde smeraldo..e pensare che è tutto un gioco di riflessi, sembrerebbe semplicissimo invece lo somatizzi in modo personale, invece di spiegartelo lasci solo che ti invada l'animo per farti sentire meglio. la sosta ai lati del bosco, lo spegnere il motore per non sentire nulla che importuni la natura, il suo incedere vitale e regolare, la corteccia ruvida dell'abete sotto le dita, il brusio di un bombo, il rosso fuoco di un solitario papavero, tutto questo posso gustarlo, sentirlo, vederlo, ascoltarlo e toccarlo anche grazie alla mia zeta.....

Passaggio in engadina

Nagyi

Tu sei li, seduta nella tua sdraio preferita al riparo della brezza che sale culla collina dal Balaton.
Sei assorta e concentrata sul tuo cruciverba mentre prima lo eri sulle preghiere al Dio al quale credi e tieni tanto. La tua pelle un tempo dorata dal sole adesso è di un tenue candore e quelle piccole efelidi sparse sui tuoi avambracci parlano di lavoro passato sotto il sole cocente, come ogni tua ruga che esprime tutta la fatica e voglia di vivere che ancora hai.
Il tuo viso dolce i tuoi occhi chiari, i tuoi capelli candidi, potresti essere il ritratto di una donna d’altri tempi, le tue mani nodose non danno giustizia a tutto quello che hai vissuto, guerre, disordini e finalmente la liberazione da quel rosso ed ingombrante padrone nel 1989. È vero che le generazioni de passato sono più forti di noi, il tuo viso rugoso spiega solo in parte le vicissitudini alle quali sei stata costretta.
Eppure dalla tua espressione traspare dolcezza e serenità, a volte mi chiedo come fai.. ..
La mia Nonna..

Londa

non ne posso più questo caldo opprimente mi offusca i sensi, rende tutto ovattato
ormai la zeta verde che mi precede non è altro che una scia di colore quasi indistinta nell'aria che mi circonda e con essa tutte le altre

la mia speranza è una sosta, ne ho bisogno come un arbusto solitario in mezzo ad una landa deserta.
la mia mano va nervosamente dal manubrio alla visiera del mio casco.
Non so decidere se sia meglio il caldo immobile all'interno dello stesso, oppure la violenta sferzata di aria che mi investe le labbra seccandole.

da Borgo San Lorenzo a Dicomano mi sembra di trovarmi in un girone infernale, quasi non credo ai miei sensi questo calore sembra aumentare invece che diminuire, ed i velox disseminati come funghi a distenze risibili tra loro rendono la sensazione ancora più intensa.

Alla sosta obbligata per rifornire le nostre cavalcature ho il tempo di recuperare un po di energie dissipate cercando di contrastare l'afa estiva. La ripartenza avviene quasi in modo simultaneo ed io con i miei ritmi da bradipo in queste condizioni climatiche rimango in fondo al gruppone di moto.
poi la svolta della salvezza a sinistra verso Stia e poi verso Londa che ci porterà al fresco del valico della croce ai mori.

Una zeta boscaiola ed una motopotentenera mi fanno compagnia nelle retrovie, ufficialmente per fare da "scope" al gruppo.
i 2 compari hanno avuto la mia medesima idea:
far scorrere il gruppo quanto basta per poter apprezzare appieno il tracciato che ci condurrà a poppi.

Attendiamo nel silenzio di un pomeriggio estivo che il gruppo sia sufficientemente lontano, infine la boscaiola e la motopotentenera si avviano, io decido di attendere ancora e cercare di recuperare tutte le forze che fino a quel momento pensavo di aver totalmente smarrito durante l'avvicinamento....

Non c'è nessuno saranno le due o le tre del pomeriggio, il silenzio è pressochè totale, se non fosse per dell'impalpabile brezza che pare invitare le fronde degli alberi circostanti ad un delicato dialogo.
mi giunge infine alle orecchie un distante sciabordio d'acqua..
Lascio Hime a bordo strada al di sotto del rassicurante abbraccio dell'ombra che le porge un albero li da presso per avvicinarmi ad un parapetto di pietra grigia.

il leggero sciabordio prima quasi impercettibile adesso entra da dietro le quinte per divenire il protagonista in mezzo al palco di questa rappresentazione estiva.

nel torrente a sei, sette metri sotto di me pesci placidi, una biscia lunga almeno mezzo metro e foglie rese gialle da un calore implacabile si muovono lentamente verso valle come tante piccole barchette fiammeggianti..
nel riflesso del sole che dalla superficie dell'acqua viene proiettato senza filtri verso i miei occhi scorgo un movomento impercettibile pulsare, sono i tanti piccoli ditteri che li vivono, discreti abitanti di un microambiente che nell'equilibrio fa la sua ragione di vita.

a questo punto mi rendo conto che debbo ristabilire il mio di equlibrio, quello della mia guida...
faccio una carezza ad Hime accendo il suo motore e proseguo verso nuove curve....

La pioggia...

la pioggia, in moto... ha qualcosa di particolare la pioggia, quando abbiamo caldo non vorremmo altro che venga lei a rinfrescare o forse rinfrancare i nostri sensi allentati e rallentati... quando invece capita un maggio ed un inizio giugno come quest'anno la detestiamo, vorremmo i 30 °...strani animali a sangue caldo che siamo....la pioggia e la nebbia però sono il peggior incubo che il motociclista medio possa augurarsi...Ritorno per un momento al passato ed alla Svizzera, è vero forse sono un filo ripetitivo ma le strade svizzere per me sono come il miele per un grosso orso bruno... irresistibili... 6 ottobre 2007, Lukmanier pass, ho appena percorso il curvosissimo tratto di strada,bagnata e umida ma con il sole che fa capolino tra le nubi, che da biasca porta al passo, la temperatura è pungente Ale ha freddo ma ha un sorriso a 36 denti, è felice è il nostro primo giro assieme ed allora aveva ancora Alina( sei un bastardo traditore ma questo lo sai ) e questo mi basta, mi fa sentire bene.ci fermiamo all' Hospitz in cima al passo per una breve colazione e il versante nord ha qualcosa di inquietante... sembra essere sotto una coltre di fumo infernale.. semovente, minacciosa, umida... ripartiamo ed il tratto in discesa fino a Disentis/Munster è una piaga .. asfalto bagnato scivolosissimo, non si vede nulla la visiera diventa una trappola per tutte le goccioline di condensa che sono sparse al di fuori del mio casco.. Hime diventa elegantissima, lo strato di cera permette di farle indossare un abito luccicante di tante perle trasparenti..l'umido ti entra ovunque e ti si appiccica addosso, ha un sapore dolce quando mi inumidisco le labbra inspiegabilmente secche con la lingua.. lo rifaccio è piacevole ha un buon sapore.nel frattempo la discesa diventa sempre più complicata, si vede sempre meno, la visiera è sempre più un muro insormontabile alla mia vista, decido di sollevarla... il freddo mi investe violentemente, eppure il termometro in cima al passo non era così pessimista eppure ... Ale è in difficoltà, le sue gomme RR fanno fatica a gestire la temperatura ed il bagnato.. io con le mie gommacce so più tranquillo, anche se odio profondamente la strada bagnata... sono arrabbiato, ho decantato così tanto questi luoghi meravigliosi ad Ale e dimmi tu che tempo capriccioso ci tocca subire. arrivati a Disentis ci fermiamo, nonostante tutto Ale sorride ancora, un regalo per me, in quel momento ero abbattuto..volevo che fosse un'esperienza memorabile per lui, così invece assomiglia di più ad un calvario... intanto dopo Hime anche le mi ciglia si sono vestite a festa con tante perle di rugiada maledetta nebbia perché non ti sollevi e ci lasci godere dei paesaggi montani tanto anelati???proseguiamo verso Andermatt attraverso l'oberalp pass.. se possibile la situazione è ancora peggiore nebbia e pioggia ad un'altitudine maggiore di 150 mt slm.freddo più intenso i gusto dell'aria ed il suo profumo si fa più acre, meno avvolgente di prima che eravamo ancora con il bosco nelle vicinanze , ora la vegetazione si limita a prati e scarni arbusti d'alta montagna .. il sapore del terreno bagnato del granito tutt'intorno addolcito qui e la da torrenti che portano a valle l'acqua dei ghiacciai...arriviamo alla serie di tornati che fanno da preludio all'ingresso ad Andermatt... il paese di montagna è come immerso nell'ovatta .. non si vede nulla a 50/80 mt parcheggiamo in uno spiazzo vicino ad una splendida baita a graticcio... dove entriamo per mangiare, una calda ed accogliente stube alpina con boiserie in lego scuro e soffitto basso... strano sembra che negli odori in questo viaggio ci sia la predominate dolce, oltre all'ineguagliato senso di accoglienza che una baita in legno offre... dopo un pasto non propriamente leggero decidiamo, a dire il vero un po a malincuore di riprendere il nostro viaggio verso il Furkapass.......

Emozioni Distinte e contradditorie

emozioni distinte e contraddittorie.Giovedì 24 aprile 2008.ore 14.10 controllo tutto, bagaglio, tuta, casco, guanti ok posso partire chiudo il box e via.. arrivo in fondo alla via pensando a come sarà il mio viaggio, dove mi porterà a quali amici mi permetterà di conoscere..Hime è da poco rinnovata, anche per lei è tutta una scoperta poi con le gommine nuove che le piacciono tanto...non potrebbe essere altrimenti hanno il nome di uno di più grandi interpreti del TT.meta finale del viaggio è livorno devo essere li per le 23al semaforo in fondo la strada sono indeciso straziostrada fino a piacenza o via emilia ???alla fine prendo la straziostrada... la odio profondamente eppure l'ho presa... perché?? continuo a chiedermelo per tutta l'ora e mezza che alla fine mi fa perdere odore di asfalto caldo battuto dal sole puzzo di gas di scarico di ogni genere frammisto a odore di letame che permea l'aria dove ci sono i campi coltivati o dove ci sono gli allevamenti di bovini e suini.. insettini ovunque che diventano informe materia organica sul casco e sul cupolino.. alla fine rimpiango la scelta ma ormai ci sono dentro e a questo punto mi spingo fino a fiorenzuola... un piccolo tratto di ss9 e poi finalmente la sp4 che mi porta a castell'arquato, i trasferimenti mi faranno diventare matto... ma da lugagnano val d'arda la storia cambia... campagna piacentina, profumo di verde è il profumo inteso del bosco non ha un'anima ben definita ma è una corale di più piante che danno all'insieme un tocco unico... l'inverno piuttosto piovoso fa poi il resto rendendo il verde dei prati intenso come quello da cartolina delle montagne elvetiche.. le curve si susseguono non facili, molte di esse sono bastarde chiudono stringono ti invitano a rallentare ed a fermarti a guardare il paesaggio..noto una ghiandaia che mi taglia la strada mentre transito in uno dei miei rari momenti di passeggio... erano anni che non ne vedevo una, la cosa mi consola significa che dopotutto le nostre campagne non sono poi così marce.a vernasca la strada si fa più lineare, meno tecnica curve da raccordare con asfalto quasi ovunque rifatto, perfetto che odora ancora di catrame...si arriva a Bore, o per meglio dire si scende a Bore perché vi si arriva dall'alto.. nel frattempo la SP 4 ha lasciato spazio alla SP359R che scorre sotto le gomme di Hime veloce fino a Bardi.sulla strada per bardi si attraversa il passo del pellizzone peccato che a 374 km dal passo ci sono 2 tratti di strada che sono estremamente rovinati e mal segnalati, sarebbe bello fosse riasfaltato, ma ormai i lavori procedono a rilento da almeno 3 anni... presso la località caprini di la c'è il bivio che porta sulla SP21 , beh già i primi 3 km che scorrono attaccati allo spartiacque che divide il paese dal fiume sono eccezionali con un panorama sull'alveo semiasciutto del fiume che non fa che richiamare la mia attenzione... dal fiume fino a località lama è un velocissimo susseguirsi di semi curve che poi cominciano a diventare sempre più strette.questo pezzi di strada è uno dei miei preferiti in assoluto... dopo lame 2 tornanti in sequenza uno a destra e subito dopo a sinistra poi un leggero allungo ed un curvone composto da due curve da raccordare, qui il paesaggio passa in secondo piano, è il ruggito di hime che rabbioso risale fino alle mie orecchie.ancora curve da raccordare con allunghi che consentono di appagare anche la voglia di velocità che è in me .. fino a quella serie di curve.. quei 2 km fantastici che fanno da preludio al.... ( allungo , staccata tornante a destra fai in tempo a metter dentro un'altra marcia ce già devi staccare di nuovo per il tornante a sinistra ancora allungo per fare una lunga a destra che ti immette in un tratto dritto in salita in mezzo al bosco staccata curvone a sinistra con alberi d'alto fusto ovunque e la montagna rende soffusa la luce che illumina la SP21 ancora a destra sinistra poi una esse appena accennata e .....) .. lo spettacolo del Santa Donna (1000 mt slm)un passo che ti trovi all'improvviso in una curva a destra che scollina, lo hai fatto mille volte ma ogni volta ti rapisce i sensi .... il panorama spazia su tutta la valle del fiume taro..mi fermo nello spiazzo davanti ad un monumento dedicato ai partigiani caduti, spengo il motore.... silenziototale ... che mi toglie il fiato... solo il fruscio del vento che disturba le piante li vicino.. ogni volta è così non vedo l'ora di percorrere quei 2 km scarsi.. per avere questo stupore dentro... mi riavvicino ad Hime le accarezzo il serbatoio poi guardo le gomme, un sorriso pervade il mio viso ... rimango li ad osservare il panorama ancora un po ... poi su il casco dentro la prima e si continua.........

Fonott Kalács

gli ingredienti ci sono tutti... Farina, presentezucchero, presenteuova, presentilatte con bacca di vaniglia, presentiburro, presente sale,presenteLievito fresco, presentecome è possibile che un elenco così banale di ingredienti dia come risultato una meraviglia che i accingo a descrivere???il lievito, alla fine è colpa o merito il suo, il suo odore intenso non ti direbbe mai che possa dare quel risultato finale,poi pensare che sono tanti funghi concentrati... mah! meglio non pensarlo..è impressionante mescolarlo con il latte vanigliato ed aggiungere lo zucchero per favorire la lievitazione, vedere formarsi una soffice schiuma color caffelatte ancora di più una magia vera e propria...aggiungo tutto alla farina sul piano di lavoro e sentire il calore del latte reso viscido dal lievito e lo sgusciare dei tuorli tra le mani.. adoro la sensazione che un impasto grezzo da sulle mani..poi è il turno del restante zucchero e del burro, il grasso si emulsiona e rendo tutto liscio ed elastico... la pasta così ottenuta è gialla, sembra un informe sole che emana profumi delicati e dolciastri.. la sbatto e la reimpasto per almeno 5 / 10 minuti fino a che non fa delle simpatiche bolle sulla superficie, ok la lievitazione è comiciata adesso tocca solo aspettare un' oretta e osservare la magia fnale compiersi.. ogni volta mi sento un bambino con le mani nella marmellata a scoprire quel telo umido e caldo sul paiolo.. la pasta è li raddoppiata, mi scappa un sorriso sarà buonissima... a questo punto divido l'impasto in quattro e formo dei lunghi bruchi cicciosi che incrocerò a mo di treccia per poi adagiare sulla piastra di cottura.una pennellata di latte e zucchero e di tuorlo e via alla seconda lievitazione...poi ulteriore pennellata e in forno caldo.. pregusto già il profumo che invaderà insolente la mia casa...dopo circa tre quarti d'ora il risultato è questa magica semplicità...


Fonott Kalács


Insolita Praga

Il parco di Vyšehrad, già di suo emana sensazioni intense, potrebbe essere un posto come un altro, invece è dove è nata Praga dove è nata l’idea di questa splendida città.
Dove sono ambientate le leggende sulla mistica principessa Libuse, diventata poi anche un’opera di Smetana, che prevedeva il futuro della nascita della città dalla rocca…
Magia e misticismo sembrano essere elementi naturali che sentieri, prati, alberi e muretti emanano complici una calda giornata estiva.
Il pulviscolo nell’aria improvvisa uno spettacolo scintillante tra le lingue di luce che gli imponenti alberi permettono al sole di disegnare.
Poi quella piccola costruzione, amichevole direi. Forse troppo, essendo una galleria d’arte che espone una mostra sono perplesso, tanto, sono così sicuro di non essere stato capace di trovare il posto giusto che proseguo oltre.
La mostra fotografica e di dipinti di Blanka Lamrova e di Eva Bergea non può essere li..
Sbagliavo eccome se sbagliavo..
Salgo i tre scalini che mi separano da quella piccola porta d’ingresso, per trovarmi in un locale unico, che sarà stato grande si e no un centinaio di metri quadri scarsi, soffitto a travi di legno, pareti bianche e fotografie miste a dipinti alle pareti.
Una presenza discreta che mi accoglie, la deliziosa Signora che ha permesso ai praghesi di rimanermi nel cuore. Lei che con dolcezza mi ha indicato quello che c’era da sapere e con tanta passione e competenza ha aiutato un turista assetato di cultura a non perdersi in quella che poteva apparentemente sembrare un’esperienza da poco.
I dipinti sono lievi leggeri quasi effimeri nel tratto e dai colori accesi ma dalla tonalità pacata
http://www.evabergea.cz/
ma il vero stravolgimento dei sensi mi colpisce non appena il mio sguardo incrocia la prima foto appesa al muro di un’abbacinante biancore..
lo scatto s’intitola Cream ed è un’istantanea di un onda che s’infrange sul bagnasciuga, il momento congelato sembra trasformare in soffice panna da montare l’acqua di un mare a me sconosciuto. L’enfasi del momento viene accentuata dalla scelta dell’artista di effettuare lo scatto in bianco e nero.
Dopo 10 minuti di contemplazione assoluta scopro che tutti gli scatti di Blanka Lamrova hanno il tema comune dell’acqua, elemento assolutamente versatile in ambito fotografico, è una superficie ma è anche colore, assorbe la luce ma allo stesso tempo la riflette e la fotografa ha reso nei suoi scatti qualcosa di straordinario. Sono così colpito che non ho parole, solo i brividi percorrono la mia schiena nello stupore di come tanto talento possa essere concentrato in una sola persona.
http://www.blankalamr.cz/ita_index.htm
Esco dalla galleria stordito da tutto ciò, penso: “in futuro dovrò fare un corso di fotografia…” .

Abba...

Stasera ho visto il Musical "Mamma mia!", che dire
le canzoni degli Abba mi scuotono sempre dentro, non è un caso che dopo anni dalla loro pubblicazione diano ancora tanto..
magnifici ....

mercoledì 8 ottobre 2008

Un Rimpianto

le porte scorrevoli del metrò si schiudono davanti a me in un o stridio metallico, l'umida sensazione appicicosa si attenua varcando quel mondo tremolante e semovente.il fresco muro dell'aria condizionata rende più vivibile l'affollamento del vagone, vagone che ci porta tutti in centro città.Strano animale l'essere umano, cerca l'aggregazione nei modi più insoliti, io la rifuggo spesso, mi sento opprimere da questo bisogno di condividere con sconosciuti umori e odori, specialmente d'estate.. Sono li in piedi mancano poche fermate all'arrivo, sto leggendo un libro di Tove Jannsonn che casualmente è in tema estivo "Il libro dell'estate", dove una bimba finlandese passa l'estate dalla nonna su una delle numerose isole del mar baltico, quando distrattamente il mio sguardo si muove dal libro alla mia destra e tu sei li, pelle chiara, capelli color miele, quell'inconfondibile nota nordica del tuo idioma, la setosità della tua voce, quei jeans attillati a sigaretta con le immancabili sneakers e la maglietta gialla.Improvvisamente decido che sei svedese, è la soluzione biù logica.Mi avvicino in modo noncurante, voglio ascoltare meglio la tua voce e quando scoppi in una fragorosa risata la mia pelle si contorce sotto un brivido che rare volte mi è capitato di provare.. sei li e probabilmente nemmeno mi hai notato, basterebbe un cenno da parte tua e faresti di me l'uomo più felice del mondo, ho sussulto una voglia irresistibile di darti una lieve bacio sul collo reso indifeso dalla tua acconciatura a coda di cavallo.. mi perdo nel blu intenso dei tuoi occhi e tu continui a scherzare con quelle che potrebbero essere le tue sorelle, come le tue amiche del cuore... ma tu è come se le illuminassi, come se vivessero della luce che irradi.. sono come cristallizzato, non riesco a fare e dire nulla se non osservarti ...la metropolitana si ferma, tu e le tue amiche scendete, non ho avuto le palle di fermarti e di dirti nulla... forse non avresti capito una parola di quello che avrei detto, ma così tutto rimane solo un emozioante ricordo estivo o meglio, un Rimpianto.

martedì 7 ottobre 2008

Amici

Strano, un’insipida giornata di lavoro è scivolata via e mi trovo adesso in una calda serata estiva privilegiato spettatore di voi due.
Strano come da un mood tutto sommato negativo mi basti essere assieme a voi seduto all’aperto a bere qualcosa per sentirmi bene.
Eppure il posto non mi piace, ma con voi li ha qualcosa di insolito, sarà quell’invisibile alchimia che c’è tra voi?
Lui compagno di mille avventure, lei una scoperta tutto sommato recente.
Lui ligure, accento inconfondibile, personalità da vendere a pacchi adesso è abbronzato ed al tramonto della giornata i suoi occhi chiari sono i protagonisti della scena del suo viso.
Lei sarda, ma non lo diresti, non ne ha il minimo accento, viso particolarissimo, occhi che sorridono sempre, risata contagiosa e capelli fluenti ad incorniciare la sua particolare scena.
Sono un osservatore silente, non riesco a non osservare le persone che ho davanti, che siano estranei o cari amici come loro.
Il bello è che spesso nessuno si accorge di nulla, quasi ipnotizzato dalle mie parole o per meglio dire dalle mie innumerevoli cazzate.
Ma torniamo a loro, non sono io il protagonista di questo particolarissimo atto.
Non avrei mai immaginato che avreste potuto fare coppia, onestamente, invece mi sbagliavo alla grande.
Siete favolosi, la tenerezza con la quale vi scambiate languidi sguardi, le mani di lui intrecciate in un caldo abbraccio a quelle di lei.
Forse sbaglio ma lo fate con talmente tanta naturalezza che credo non ve ne rendiate conto. Siete sereni, vi prendete in giro, mi fate ridere.
La mano di lei che scivola sul ginocchio di lui per essere catturata delicatamente da lui.
Siamo li seduti a sparar cazzate mentre il tramonto diventa sera, il tempo passa ma con voi li sembra volato.
Vi voglio bene…

UNA COPPIA DI AMICI

Autunno

Osservo la gialla foglia di platano fluttuare dall’alto ramo ove si trovava verso terra, in ghirigori senza senso logico, come in una sincopata danza moderna. La brezza autunnale fa il resto adagiandola lentamente su un mare a perdita d’occhio di gialle fotocopie di se. L’odore pungente della resina d’abete distrae i miei sensi da questo spettacolo crepitante . Attore principale di questa particolarissima rappresentazione, il letto di foglie prende lentamente fuoco grazie al tramontante sole che mi scalda con i suoi raggi. Una sensazione di lieve benessere mi pervade e le nuvole in cielo sembrano intessere un caldo maglione di cachemire a protezione di tutto. La lama di luce che proviene dalla nostra stella si fa violenta per i miei occhi, mi volto ed il bosco prende vita in un movimento di chiari scuri netti, violenti, quasi dolorosi ma per questo motivo bellissimi. La tramontana prende il posto della brezza e sottoforma di dispettoso serpentello saettante che si infila al di sotto della mia camicia facendomi provare il primo brivido di freddo stagionale. Sento il sole chiamarmi disperatamente, mi volto e quello che vedo è un vero è proprio omicidio della nostra stella portato a termine dalle nuvole nel cielo che lo soffocano inesorabilmente.
Un velo di grigio chiffon scende su tutto, ed il bel colore dorato lascia il passo ad una malinconica contro rappresentazione di se stesso, le gocce d’acqua della prima pioggia autunnale afflosciano lentamente le foglie che da fiammeggianti farfalle diventano un opaco tappeto maculato.
Sono immobile in mezzo al bosco che ascolto l’assordante rumore prodotto dalle pioggia sul letto di foglie cadute, mi bagno sempre più, tutto è cupo e grigio ma all’improvviso la pace…. Le nuvole richiamate da chissà quale forza celeste mollano la presa sul sole che illumina di nuovo un bosco che lentamente riprende il suo colore dorato…
Meraviglioso e mutevole….

AUTUNNO


Grazie mimmo.

Balatonvilagos

L’autostrada M7 continua in un lungo curvone a sinistra mentre imbocchiamo l’uscita di Enying, siamo a pochi kilometri da casa, ogni estate è stato così quando arrivavamo da Budapest verso il lago Balaton.
Il paesaggio è invitante, dolci colline verdeggianti, piccoli gruppi di alberi a formare boschetti che paiono errori di colore in una distesa di giallo e verde intenso dei girasoli e dei vigneti, il verde scuro degli alberi è un tono di rottura che movimenta uno schema tutto sommato preciso.
So che il lago è li dietro ma ancora non si vede, non lo si vedrà fino agli ultimi 500 metri di strada.
L’uscita dell’ M7, una salita leggera praticamente dritta se non fosse per una leggerissima pendenza a destra, l’incrocio, il cartello verde con le scritte Enying, Balatonalmadi Balatonaliga Balatonvilagos.
E verso quest’ultimo paese ch siamo diretti, attraversiamo l’incrocio con la statale per ritrovarci nella strada provinciale che si insinuerà nel paese.. Vigneti a destra e a sinistra ordinati verdeggianti quasi luccicanti alla luce diffusa del primo pomeriggio, i chiaroscuri sono talmente tanti che smetto di contarli, dovrei contare ogni foglia di ogni singola pianta .
Dopo un breve rettilineo la strada entra in Balatonaliga seguendo il declivio della collina insinuandosi tra le prime case. Villette mono familiari tanto comuni da queste parti. Poi quella curva secca a sinistra che si infila nel tunnel sotto la ferrovia, la controcurva, stavolta più dolce a destra il cartello che indica la stazione di Balatonaliga, stazione privilegiata durante la dittatura comunista dalla presenza di quello che era il resort per i membri del partito, allora anche i treni internazionali sostavano in quella piccola stazione dalle pareti giallo ocra e dal tetto di tegole rosse.
Lasciamo la stazione alla nostra destra per proseguire lungo una via in salita leggera con il paese alla nostra destra e i campi coltivati e la boscaglia alla nostra sinistra..
La svolta che porta alla posta, brutto edificio del passato comunista lungo e basso con accanto il negozio della catena alimentare ABC dove ogni anno sotto al tetto le rondini facevano i loro nidi..
Proseguiamo , superiamo anche la villetta del macellaio del paese, la sua bottega è li vicino in una parallela della strada che stiamo percorrendo.
Finalmente il cartello di Balatonvilagos, siamo arrivati, un ultimo incrocio a sinistra si va per Siofok, a destra si scende sul lungolago attraversando di nuovo la ferrovia, da qui invisibile, nascosta da una curva esagerata a sinistra con tanto di collina al lato sinistro della strada e gruppo di alberi ed edificio della stazione a destra. Il palo della luce è li a segnare imperterrito quel luogo come un gigantesco punteruolo conficcato nel terreno, la su struttura di cemento armato a garanzia della sua forza contro i tremendi venti che si scatenano durante le giornate di burrasca sul lago..
Noi proseguiamo dritti, la strada che digradava dolcemente verso l’incrocio altrettanto dolcemente prende a salire verso la cima della collina. Il gommista del paese sulla sinistra con la bianca casa ed i due bianchi Komondor ( cani da pastore ) a protezione del giardino; sulla destra la colonia estiva di uno dei tanti enti statali. Al successivo paleo della luce, due travi di cemento armato forato che si uniscono in sommità a mo di un’altissima “A” , la svolta nella piccola strada che mi separa dal lago..
Una villa con giardino pieno di alberi di melo che cominciano a regalare i primi risultati dell’impollinazione a sinistra, un appezzamento di terreno coltivato a noccioli a destra.
Arriviamo al nostro ultimo incrocio, un incrocio a T e li oltre gli alberi la grandiosità dal lago dall’alto della collina, il cielo terso e l’assenza di umidità ci permette di vedere la costa opposta.
Gli ultimi alberi hanno incorniciato questo splendido spettacolo quasi fossero i tendaggi di un sipario in un grande teatro di città.
Adesso la visuale è libera, alla nostra destra il lago, il termine della collina ad una ventina di metri, poi il dirupo verso i binari della ferrovia e via via verso il lago, a sinistra una schiera di case che si alternano una ad una sul ciglio della stradina dritta in discesa fino alla casa del dipendente delle ferrovie addetto alla sorveglianza dell’unico passaggio pedonale nel raggio di un paio di km.
La nostra meta dista appena 4/500 metri, percorriamo la strada tra siepi, ringhiere, cespugli ordinati di rose ed altre piante ornamentali, le macchine qui sono un raro elemento di disturbo e le persone passeggiano in costume sul nastro d’asfalto sena pericolo, la strada è cieca..
Siamo arrivati, il cancello verde, il prato appena tagliato l’albero di amareno sul lato della casa, la siepe sul lato opposto assieme ad altri 2 amareni che ombreggiano il patio.
La casa con il suo terrazzo sul lago i suoi muri in pietra termica sulla facciata la grossa finestra del soggiorno con quelle caratteristiche zanzariere verdi, la porta persiana del terrazzo a 4 elementi, il tetto asimmetrico spiovente, il cavo della luce e della tv che calano dall’alto del palo della luce.
I 3 colpi di clacson, i due visi familiari dei miei nonni che raggianti vengono ad aprirci…
Il suono della serratura, la calda sensazione della maniglia del cancello e finalmente l’abbraccio con la storia della mia famiglia…
ARRIVO A BALATONVILAGOS

la mia città, Szűlőfoldom



Medesime sensazioni, medesimi sapori, odori accoglienti …
Il luogo è quello amato della tua infanzia, quello che coccoli sempre che non rimproveri mai anche quando dovresti. L’aereo aiuta a provare queste sensazioni intense, il distacco come l’approccio ad un luogo è violento e immediato, non graduale come quando arrivi facendo 1300 km in macchina o in moto.
Ferihegy 1 il terminal delle Low cost, idea geniale quanto impersonale e tipica di una globalizzazione imperante..
Il portellone dell’ A320 si apre e quell’odore che è allo stesso tempo un pugno nello stomaco e un caldo abbraccio, come quello di un’aziana nonna quando si è bambini.
È sempre lui, impercettibilmente variato nel corso degli anni ma sempre riconoscibile tra mille odori e sapori.
Sono piccole certezze che rendono i ricordi del passato attuali e reali istantanee del passato, prima sbiadite di un bianco e nero e poi sempre più nitide e colorate, sempre io come protagonista, i cooprotagonisti che si alternano nella mia memoria e nel mio presente.
L’attesa nell’avvicinarsi a quel fiume che mi ha visto crescere che mi ha visto imparare una lingua amata, complicata ma meravigliosamente armonica e musicale al mio orecchio e poi eccolo li in tutta la sua maestosa impetuosità, il Danubio che dal ponte Petofi mi regala un’istantanea sulla Cittadella e sul castello di Buda.
Karinty Frigyes Ut 27, un indirizzo tra tanti che però per me è qualcosa che mi parla e sussurra di vecchi ricordi, quel primo piano, quell’odore dolciastro di vecchia carta da parati e di parquet che avrà almeno 50 anni, l’odore di casa ecco cos’è.
Ogni volta è la stessa sensazione piacevole nella quale mi abbandonerei per un lento ed inesorabile oblio dei sensi, non può in nessun modo nuocere, non può essere negativo.
Quella vecchia cucina così uguale, dove solo gli elettrodomestici sono cambiati negli anni. Il salone sul giardino interno, ove il platano ed il melo selvatico sono li a danzare al minimo alito di vento estivo. Le foglie che creano giochi di luce attraverso i quali il sole cerca invano di giungere a terra.. quella finestra è come la cornice di un magnifico quadro del quale sono uno spettatore privilegiato. Tutte le primavere le 2 tortore, mi piace pensare che siano sempre le stesse, che amoreggiano su quel ramo dall’insolita forma ad arco, le cince, le gazze e dire che è solo un cortile interno di un palazzo del ’46 in centro… tutta questa vita è commovente.
Il sapore unico e inspiegabile della panna acida, del Kremes, della Dobos torta, del retes e di tante altre prelibatezze…
Il profumo unico e mescolato di spezie, di pane appena sfornato, di affumicato delle salsicce e del salame al mercato coperto, il sapore inebriante e piccante quasi insopportabile della Csalamade, mi sento bene quando sono circondato da tutto questo, è confortante e appagante allo stesso tempo.
Mi manca invece lo sferragliare delle tre vetturette del tram 49 il suo procedere a strattoni, i sedili in similpelle amaranto che in estate emanavano quell’odore inconfondibile, il rumore gracchiante del segnale di chiusura porte. Chissà se una volta sistemati i binari in Vamhaz korut torneranno come prima, magari restaurati, Senza sarebbe come togliere il carnielli a Milano..
Nel tempo è cambiato l’odore della città, che negli anni 80/90 odorava ancora di miscela, è cambiato l’aspetto delle strade prima colme di piccole utilitarie di regime, non avrei mai pensato che mi potesse mancare anche la Trabant, la Wartburg e tutte le loro derivazioni puzzolenti.
Eppure vedere la città un po trascurata e decadente non mi fa male come mi aspetterei, le voglio troppo bene per rimproverarla di non essersi fatta bella per il mio rientro, troppo bene non amarla con tutti i suoi inevitabili difetti, troppo bene per non riuscire ad evitare di trattenere le lacrime ogni volta che salgo sull’aereo che mi riporta a casa …
Questo lacerante modo di dire: tornare a casa..
In fondo per me è una fortuna ed una condanna allo stesso modo, ne ho due di case ma il distacco è sempre un’incontrollabile serie di emozioni …
La mia città, Budapest …….

Motocrescentina / Combrikkola del passo

Il casello di Piacenza sud alle mie spalle, adesso la strada sarà noiosa, dritta come un fuso.
L’aria è frizzante nonostante siano solo le 2 del pomeriggio, temperatura ideale per un giro in moto o per meglio dire una “Futata” pomeridiana..
Pregusto le curve che verranno mentalmente, pregusto la compagnia di amici che vedo troppo di rado, pregusto queste sensazioni, un succo benefico che consente di tollerare la noia dell’autostrada.
Sono talmente tanti anni che non percorro l’A1 da Bologna verso Firenze e stento a riconoscerla, i lavori per la terza corsia la rendono un cantiere unico e le strisce gialle dei lavori in corso durano kilometri.
Sasso marconi, la mia uscita, il termine della sofferenza autostradale e l’inizio del divertimento..
Le “Ganzole” un tratto di strada di pochi kilometri che mi separa da Pianoro detta anche “I box”.
Non c’è nessuno e la strada dall’asfalto con potere mordente invita la gomma anteriore a piegare a cercare l’equilibrio e la traiettoria perfetta. Le gomme nuove che ancora non conosco, il cercare di capirne il comportamento, le reazioni e cosa ben più importante gli avvertimenti nel caso il gusto della guida mi portasse ad esagerare. Un curvone veloce a destra , un piccolo allungo e mi trovo davanti ad un incrocio a “T” direzione “Box” e via in discesa verso la valle sottostante, uno dei tratti guidati più gustosi, più che curve sono semicurve da raccordare tra loro in una danza ritmica interrotta dal bel curvone in contropendenza a sinistra che immette in un tratto di strada alberato, sembra quasi di stare in mezzo ad un bosco, poi una sequenza di 2 tornanti che mettono fine al tratto guidato delle “Ganzole” , manca solo un lungo rettifilo e poi un curvone a destra che immette sulla strada in direzione Pianoro.
Arrivo ai box alle 16.50 chiamo Mauro, sento a che punto è con il lavoro per capire se la “pre-futata” sarà affar mio o se avrò un compagno coi fiocchi assieme a me.
Mauro non ce la fa, mi da appuntamento alle 18.00 come pattuito. metto via il telefono, infilo il casco, i guanti, la chiave nel quadro, l’inconfondibile rumore del check dell’iniezione, poi il quattro cilindri di Hime riprende vita in un sommesso borbottio..
Un’occhiata all’orologio, segna le 17.00, infilo la prima e via, adesso avrò modo di capire se le K3 sono delle gran gomme oppure no.
Le prime due curve con il muretto ad archi scorrono via veloci, poi il tornante a sinistra e via ancora verso la curva a destra che immette in un leggero allungo per due curve da raccordare, non si toccano nemmeno i freni si piega a sinistra e poi a destra, la strada sempre in salita serie di allunghi e di curve veloci fino a Livergnano, poi da li fino a Sabbioni e poi a Loiano la parte più bella della Futa, curve mai uguali di ogni raggio e curvatura, curve in appoggio, curve bastarde ma mai banali, mai farle senza concentrazione, la Futa non perdona.
Loiano, osservo l’orologio di Hime, le 17.15… lo chalet è ancora lontano e non riuscirei a raggiungere gli altri in tempo per l’orario pattuito. a questo punto l’unica opzione rimane il “Pistino” , Loiano- Monzuno.
Qui decido di incrementare un po il ritmo, le gomme mi piacciono ma per non so quale motivo non riesco a fidarmi del tutto. Forse tenere un ritmo più elevato potrebbe fare la differenza.
La strada è libera, il traffico quasi nullo, l’aria dell’imminente sera fresca e invitante, i campi coltivati laggiù sono disegnati dalla strada che dovrò percorrere… Basta esitare: si parte.
Arrivo a Munzuno con il sorriso, le gomme hanno una tenuta infinita, specialmente l’avantreno.. probabilmente in strada sarà impossibile sfruttarne appieno le potenzialità, sarebbe da pazzi incoscienti.
La gomma posteriore, come direbbe un Amico di Varese, è eccitata al punto giusto ma al tempo stesso mi da pensiero, tende a derapare un po troppo facilmente nonostante non faccia caldo. Forse le 2 pistate a cui sono state sottoposte hanno lasciato un segno non evidente a prima vista.
Sono le 17.25, inverto la direzione, direi che il “Pistino” in salita è decisamente più gustoso, i curvoni veloci in appoggio sono una goduria, sarebbe da farli a ripetizione fino a trovare la traiettoria e la velocità perfetta.
A Loiano ritorno sulla SS65 per un tuffo in discesa verso i box, l’andatura si fa sostenuta senza che me ne renda conto, infatti arrivo ai box alle 17.50 10 minuti in meno dell’andata.
Non è arrivato ancora nessuno, mi siedo su una panchina e telefono a Zawa, parliamo a tratti il ponte radio su Pianoro deve essere al confine di due zone e quindi la comunicazione cade spesso..
sento un rombo conosciuto, è la Zetona di Linuccio che si avvicina, bello vedere i suoi occhi concentrati alla ricerca di una faccia conosciuta cominciare a sorridere non appena scorgono il pazzo che li ha raggiunti per la “Motocrescentina” , il tutto enfatizzato dal filtro trasparente della visiera del suo Shoei.
Stiamo li a far due chiacchiere e la Motopotentenera arriva con il suo pilota, Maurino presente, manca solo Angelo e la Futata serale può partire in perfetto orario.
Linuccio a fare da apripista, io, Mauro e Angelo a chiudere il ristretto gruppetto. Il passo è allegro ma non troppo decisamente piacevole, il traffico quasi nullo, miracolo dell’infrasettimana, le curve si snocciolano fino a Loiano in piacevole armonia, il paesaggio montano dell’Appennino tosco-emiliano è meno incisivo di un paesaggio alpino, è più dolce, tranquillizzante, rassicurante in fondo armonico. I passaggi da un ambiente ad un altro non sono netti e violenti, ma leggeri come un placido fiume che scorre verso il mare.
Da Loiano la strada procede tra i radi paesini e le curve fino allo Chalet Raticosa, punto si sosta e ristoro per i numerosi motards che la frequentano nel fine settimana.
Impressionante vedere il piazzale dello chalet con una sola moto parcheggiata, il nostro arrivo sembra interrompere una quiete infinita, ed il cielo al tramonto sembra coprire con un a coperta di nuvole leggere la nostra sosta. Un caffè, dell’acqua, una fetta di torta e quattro chiacchiere in compagnia che accompagnano i minuti della giornata verso la sera.


La temperatura comincia a diminuire sensibilmente, decidiamo per il rientro a Bologna, il sole si fa sempre più discreto, più flebile, lentamente i fari delle nostre moto cominciano ad illuminare il nero nastro d’asfalto, ed il rosso della strumentazione di Hime, invisibile alla luce del giorno, comincia ad apparire sempre più intenso. La guida si fa più difficile, il fresco della sera irrigidisce le mie gambe e le mie braccia, sono contento di essermi portato la maglia termica, senza sarebbe stato veramente difficile. In compenso le mie narici apprezzano il freso della sera, i profumi del bosco, l’odore della benzina.
Il fanalino posteriore di Linuccio si fa sempre più rosso ed a tratti vicino e lontano, come un invisibile elastico che ci ricongiunge e ci allontana, Angelo prima e Mauro dopo, i fari dalla forma inconfondibile della motopotentenera e della Zeta. Il traffico prima inesistente si fa un po più fastidioso, il camion superato di slancio da Linuccio prima e da me poi diventa un piccolo temporaneo ostacolo per Mauro e Angelo.
Arriviamo ai “Box” che è ormai sera, e proseguiamo sulla strada che porta a Bologna, recuperiamo Grazia e ci dirigiamo al luogo dell’appuntamento con Kawa e lo Zio. Da li alla Baracca saranno pochi i km che ancora ci separano da una mangiata colossale.
La serata procede il freddo si fa intenso, mitigato in parte dal carico calorico del cibo..
Crescentine, tigelle, prosciutto, salame, coppa di testa, crema di lardo, pasta di salsiccia, formaggi e sott’oli e sottaceti, un inno alla cucina emiliana povera ma ricca in sapori e che unisce.
I profumi, il calore delle crescentine fritte, le tigelle scaldate lasciano sulle mani sensazioni oleose e profumi intensi, il calore fa esplodere tutto il bagaglio di sentori e profumi dai salumi che vi appoggiamo sopra..
Poi l’armonico caos di mani che si allungano tra cestini e vassoi, il ciarlare tra un boccone e l’altro, immagino come queste sensazioni possano essere diverse in una vera serata stiva con il caldo e le zanzare ad accompagnare la nostra cena..















Alla fine è vero siamo un gruppo di :
Amici
Motociclisti
Passisti;
in una parola Combrikkoli…